La pesca con il parancale

La pesca con il parancale, sia quello per i gronchi che quello per i dentici.

Passo l’intera giornata a ripassare i parancali, ripulì gli ami, vi aggiunse quelli mancanti, sostituì qualche palamare più vecchio, riordinò i piombi e i galleggianti i quello dei dentici, comprò una mezza cassetta di sarde per i granchi e lessò o meglio scottò nell'acqua salata alcuni polipi che usò per innescare la lenza dei dentici. Alle cinque e trenta innescò i parancali, con Benito portarono tutto nella barca e partirono alla volta di Punta Longa.

Durante il percorso vide da qualche segnale delle reti che la corrente andava a scirocco. Avevano non più di un'ora prima che facesse notte. Vogarono in due senza sosta. La serata era buona, arrivano sul posto quando si intravedeva ancora la sagoma delle colline, e di conseguenza poté posizionarsi dal Tà rtanone verso maestro senza difficoltà. Pose il segnale e cominciò a scendere gli ami. Ogni volta che il corriere scorrendo gli portava tra le mani il palamaro con l'amo e l'esca, con un movimento sistematico lo lanciava di fianco solo quel tanto necessario a che non si accavallasse con il corriere stesso. Il parancale dei gronchi si adagiava sul fondo costituito da scogli anche di grandi dimensioni e possibilmente non doveva intricarsi con essi; per questa funzione la canapa trecciata di cui era costituito il corriere era fondamentale: la canapa, quando sentiva l'acqua, si induriva e si opponeva allo scorrimento che indubbiamente il gronco avrebbe causato tirandosi l'esca sotto la tana. Aveva quasi finito di calare ed era convinto che la pesca sarebbe stata buona perché più volte aveva sentito intognare (tirare) ovvero i gronchi già stavano mangiando. Si senti nettamente un botto. Qualcuno verso il Riccio aveva sparato. Benito, che intanto aveva preparato la gabbietta dei segnali con il lume acceso, lo rassicurò: "Qui Vittorio la Guardia non ci arriva!" E Domenico: “ Quelli sono i Tipa Tipa, loro hanno la campagna lì dietro.”
Finirono di scendere gli altri ami, quasi duecento, una unica tesa con tre segnali intermedi che sarebbero serviti solo nel caso di difficoltà. Si lasciarono di poppa il segnale con la lanterna e Domenico ordinò di dirigere per tramontana.

La collina e la costa non si vedevano più, le uniche case visibili erano i nuclei abitati, qualche casa sparsa, le lucette del porto ed il faro. Con questi punti bisognava fare le dritte per scendere gli ami nella zona di pesca.

Allineò il faro col nucleo abitativo di San Vito, che si vedeva in lontananza, e proseguirono fin quando Torre Mucchia si allineò con un altro punto cospicuo a terra. Fece cenno a Benito e cominciò a scendere gli ami, questa volta a favore di corrente, considerando che intanto la bava di terra si era fatta consistente e che quindi avrebbe causato uno scarroccio di cui tenere conto.
Il parancale dei dentici era ben più grande ed aveva quasi trecento ami. Il corriere ogni quindici ami si agganciava a un sostegno composto da un galleggiante e da una pietra; la pietra e il galleggiante erano collegati fra loro da un cordino di quindici metri che portava un innesto di due metri sotto il galleggiante. All’innesto veniva agganciato il corriere con il risultato di disporre gli ami a festone a mezz'acqua, considerando che si pescava ad una profondità da otto a dieci metri. Domenico, nello scendere gli ami, aveva nella mente ciò che aveva sentito spesso raccontare: di quando suo nonno con una barca a remi armata con sei persone andava a scendere gli ami al Pelago che si trova a circa trenta miglia al largo. Partivano la mattina con tre pariglie di remi e uno straccio di vela e vogavano tutto il giorno per poter pescare tutta la notte, salpare all'alba, rimettere a posto le pescate favolose e tornare per il pomeriggio del giorno dopo. Intanto la calata andava avanti con tranquillità.

Racconto tratto dal libro La mortella e la mentuccia. Storie di pesca e pescatori, di Carlo Boromeo (Edizioni Menabò, Ortona ISBN 978-88-95535-34-0).
Realizzato da NEAMEDIA snc