Il rezzaglio

Antonio, con il rezzaglio, era proprio bravo. Ne aveva diversi tipi, se li era costruiti da solo, con e senza cordini, a seconda se venivano usati alla foce dei fiumi o sul mare, con piombatura forte o leggera, a seconda della necessità di affondare in fretta,con maglia larga o stretta,secondo i pesci cui era destinato, grandi o piccoli, secondo la distanza e l'ampiezza di lancio, con filo grande o sottile, per la resistenza e doveva avere. Ognuno era piombato con almeno tre chili e mezzo. C'era un rezzaglio, che Antonio amava particolarmente, che aveva i piombi sferici, con la particolarità di rotolare sul cordino, cosa che sui fondali piatti e sabbiosi dava il migliore risultato per le garze d'oro e per le mormore. Antonio, poi gli ultimi giri di maglie li costruiva in filo più grande per dare più resistenza alla parte più a contatto con i fondali. Gli altri si rifornivano dello strumento dal funaro. Il funaro era un artigiano che da San Benedetto del Tronto si era trasferito alla Marina di Ortona. Abitava da poco al palazzo Berardi, aveva sette figli con una particolarità : i nomi delle cinque donne cominciavano con la lettera L e dei due maschi con la P, praticamente le
iniziali sue e della moglie. Rimase ad Ortona molti anni, tanto che molti di noi, che allora eravamo piccoli, hanno fatto in tempo a provare a girare la ruota che lui per filare le corde all’inizio di via Cervana. Nel magazzino che aveva affittato, sotto il palazzo Cieri, aveva messo all'opera tutta la famiglia. Pietro il più grande lavorava con lui, era già capace di filare andando all'indietro e sfilacciando con maestria la fascia di canapa già scardata che portava avvolta sull'addome.

Le corde più sottili erano però affidate al padre perché la difficoltà era maggiore. La filatura liscia e senza groppi distingueva la qualità. Paolo, il secondo, era addetto spesso alla scardatura della canapa contro i pettini chiodati. C'era, per questa operazione, bisogno di più forza e, perciò solo raramente venivano impiegate le donne. Lea la più grande, provvedeva, tra l'altro, a rifornire le sorelle del necessario. Luana e Luciana, la seconda e la terza. armavano le reti e costruivano i rezzagli, Lidia, attiva ed intelligente, con il viso completamente sfigurato da una brutta cicatrice, preparava le spolette, i rotoli e le matassine di canapa e anche le corde da filare. L’ultima,Liana era l’unica che andava anche a scuola oltre a fare spolette e matasse. Negli anni successivi anche le ragazze del rione venivano richiamate dalla novità e si divertivano nel cimentarsi a fare le spolette e armare reti nel loro magazzino o all'ombra del muro del Palazzo Berardi. I rezzagli erano fatti bene e il filo usato, spesso,faceva la differenza. Molti avrebbero voluto costruirselo da soli come Antonio, a modo loro, come un vestito, alcuni per la difficoltà, altri per i1 tempo necessario, non ci provavano nemmeno e diventavano clienti del funaro oppure si dovevano rifornire come al solito dal barese. Il rezzaglio, oltre che personale, era molto delicato, aveva bisogno di continue manutenzione d in più, essendo cotone, bisognava  asciugarlo dopo ogni volta che lo si usava. Davanti a tutte le case e i magazzini dei pescatori della cosiddetta piccola pesca, c'era un paletto o un gancio a circa due metri dr altezza a cui appiccare il rezzaglio per pulirlo, per rammendarlo (rimarchiarlo) e per asciugarlo. Spesso ce n'erano più di uno e di qualità diverse. Era quasi un biglietto da visita.

Mezzoculo ne aveva uno molto personale, lo usava come un potatore usa le proprie forbici, come un ortolano la propria zappetta. Era ormai anziano, passava il tempo tra il suo magazzino e la sua barca tirata a secco lì alla spiaggetta, la copriva con teli vecchi, la manutentava per quanto gli fosse possibile e la bagnava con il bugliolo del rezzaglio tutti i giorni, per far si che il legname non si spaccasse al sole. Aveva le sue zone di pesca abituali che considerava come orti personali: se qualcuno, anche se solo temporaneamente , vi si avventurava, andava a dissuaderlo facendo in modo che se ne andasse. Alla fine prendeva solo qualche garza d'oro per uso personale. Il rezzaglio si usava un po' tutto l'anno; spesso si teneva a bordo per qualsiasi necessità, anche per raccoglierei l pesce che galleggiava dalle bombe; in particolare però durante il periodo di fine estate ed inizio autunno, dava i risultati migliori. Ad Antonio che in quei giorni era rimasto forzatamente senza barca, non dispiaceva andare a pesca col rezzaglio. Se non fosse stato per le sue ginocchia che non lo facevano riposare, si sarebbe persino divertito. Dallo stabilimento balneare, passando per la zona davanti alla stazione e poi per le Pietre della Madonna fino ai Saraceni, lui conosceva ogni angolo, e quindi ogni punto, dove poter lanciare e che tipo di pesce ci poteva trovare: dalle garze d'oro sulle sabbie davanti allo stabilimento balneare, alle teste grosse che si avvicinavano alla spiaggia piena di detriti di alghe di posidonia davanti alla stazione, dalle anguille delle zone prospicienti il fosso di San Rocco che portava in mare le acque della sorgente di Santa Caterina e della collina di Costantinopoli, dalle mormore, salpe e boghe della zona dello Scoglio della Cervana, agli occhi neri, alle corvine e alle spigole delle Pietre della Madonna. In quei giorni, Antonio durante la prima mattinata e alla sera prima del tramonto fece delle belle pescate di garze d'oro davanti allo stabilimento e fino allo scoglio della Cervana, ne prendeva quindici o venti chili a volta e cosi arrangiava la giornata; il resto della mattinata lo impegnava al cantiere dove cercava di sollecitare o si limitava a guardare i lavori della sua barca; il primo pomeriggio lo passava a rimarchiare il rezzaglio, ricucendo le mezze maglie, le crocette, le spighette o addirittura qualche strappo più grande.

Domenico e Benito avevano ripulito le reti sul piazzale: il risultato fu ancora più pesante di quanto ipotizzato in precedenza. Le reti da buttare erano più della metà e quelle che rimanevano risultavano molto danneggiate. Domenico decise di comprarne delle altre. Intanto uso quelle che aveva in deposito in magazzino ricostituendo la cala per intero. In quei giorni il mare si era calmato: andava bene per il rezzaglio; per le reti da imbrocco pero non era assolutamente l' ideale:o si andava a scenderle al largo, col rischio che qualche topolino o peschereccio che pescava le triglie le incocciassero, bisognava fare qualcos'altro. Nasosecco optò per le reti a galla e si preparò con le attrezzature necessarie. Quella sera andò verso Punta Moro, scese le sue otto reti, posizionando il lume sulla testata e poi strombò (fece rumore) tornando al punto di cala; lo fece due volte , era bravo con lo strombatore, ma la serata non era la migliore e il risultato fu deludente. Il pesce fu appena sufficiente per fare a metà con Remo.
Racconto tratto dal libro La mortella e la mentuccia. Storie di pesca e pescatori, di Carlo Boromeo (Edizioni Menabò, Ortona ISBN 978-88-95535-34-0).
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