La pesca con la pedarola

Piovve forte per diversi giorni, e passarono molto tempo nel magazzino a mettere in ordine, o meglio a cambiare di posto alle cose tra una discussione e l'altra. Antonio al cantiere incalzava mastro Romolo perché gli riparasse la barca, ma, quando il tempo era cosi, ognuno portava qualche lavoro da fare al cantiere e quindi, anziché accelerate, i lavori finivano per rallentare. Antonio suggerì a Domenico di andare a pescare con la rete che chiamavano pedarola, dentro il porto davanti alla stazione: con quel tempo l'acqua del Fosso di San Rocco era torbida e qualcosa si sarebbe preso. Chiamarono anche Nasosecco, imbarcarono la rete proprio sulla sua barca e poi chiamarono anche il resto della ciurma. Aveva piovuto tutta la notte.

Il mare era gonfio, c'era una discreta risacca. Benito e Remo andarono a terra insieme ad Antonio, mentre Domenico e Nasosecco portarono la barca in posizione e, dopo aver dato il capo della cima a terra, vogarono per portarsi a circa cento metri prima di cominciare a scendere la pedarola, una rete composta da due pareti uguali con maglie sempre più piccole verso il centro dove c'era il cosiddetto sacco o cocollo, destinato a contenere il pesce. L’uso di questa rete primordiale  consisteva nel circondare un tratto di mare e poi da ferra si tiravano le testate verso riva catturando tutto quello che c'era dentro. Scesero la rete e poi puntarono a terra dove Antonio li aspettava; fecero segno e cominciarono a tirare; Benito spiaggiò la barca lì vicino e andò anche lui a dare una mano. Tiravano la corda e poi la rete, in modo da costringerla sempre più verso il centro, e raccogliere insieme le due pareti. I cefali, sentendosi alle strette, saltavano fuori dall'acqua superando con un balzo la rete e riguadagnando il largo. La pioggia aveva portato in mare tanti detriti e la rete si caricò in modo esagerato. Fu una fatica enorme avvicinarla alla riva e scaricare la massa di romenta che la rendeva gonfia e pesante.

Alla fine tirarono la rete completamente a secco in un brulichio di pesciolini e di gamberetti che erano riusciti a passare indenni nelle maglie. Il sacco era tenuto chiuso da una sagoletta che Nasosecco stava per sciogliere quando Antonio gli disse: "Fai piano che ci sono diverse anguille". Aprirono quindi un po' alla volta e cominciarono a recuperare il pesce; le anguille cercavano di riguadagnare il mare, ma la sabbia le rendeva più vulnerabili e facili da prendere. Ne catturarono una ventina, insieme ad una mezza cassetta di triglie e altrettante mormore, carlini, corvetti e qualche sogliola. Nelle alghe spiaggiate dalla rete tanti gamberi saltavano qua e là come pulci. Dopo ogni pescata era una faticaccia ripulire le reti per poi imbarcarle a bordo, perciò riuscirono a fare solo tre mani prima di mezzogiorno. Comunque avevano preso il pesce sufficiente per dividerselo tra loro. Antonio e Benito riportarono la barca all'ormeggio, mentre gli altri tornarono a piedi con una staffetta striminzita, ma ognuno porto a casa qualcosa da far cucinare.
Racconto tratto dal libro La mortella e la mentuccia. Storie di pesca e pescatori, di Carlo Boromeo (Edizioni Menabò, Ortona ISBN 978-88-95535-34-0).
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